
L’Erotismo Fragile del Non Visto
La mostra di Anna Mikholap, Ciò che Persiste, attualmente in esposizione presso il Palazzo della Zattere a Venezia e presentata dalla Fondazione VAC, offre un’esplorazione immersiva dell’invisibile e del quasi visibile—della presenza spettrale che aleggia appena oltre la soglia della percezione. In questo corpus di opere silenziosamente radicale, Mikholap rifugge la rappresentazione a favore della sensazione, costruendo un linguaggio visivo sintonizzato non su ciò che l’occhio cattura, ma su ciò che la pelle ricorda. Le sue figure non sono tanto raffigurate quanto evocate, richiamate attraverso tocchi scintillanti e respiri cromatici. Tremolano, si piegano, si dissolvono sulla superficie, costituendo un incontro fenomenologico con l’instabilità della forma, dell’identità e del desiderio.
Ora residente in Spagna, Mikholap apporta alla sua pratica una sensibilità sfumata e transnazionale—plasmata in parte dalla sua formazione in pittura presso l’Accademia Statale di Arte e Design Stieglitz di San Pietroburgo. Questo background di rigida formazione classica, combinato con il suo attuale immersione in culture visive più fluide e astratte, informa la dualità della sua opera: la tensione tra struttura e dissoluzione, tra memoria e cancellazione.
Eseguite in olio e pastello, spesso su superfici non assorbenti come l’alluminio, le gestualità pittoriche di Mikholap si mantengono in uno stato sospeso. La tensione materiale tra pigmento e supporto realizza la vera metafisica della sua opera: nulla si stabilizza, nulla si coagula. La superficie, resistente e liscia, non accoglie il segno passivamente; al contrario, oppone una sorta di resistenza, costringendo l’immagine ad esistere sul margine del divenire. Questo gioco non è meramente formale—è ontologico. Esprime una condizione della presenza sempre provvisoria, sempre sul punto di sfuggire.
C’è un erotismo sommesso in questo rifiuto della chiusura. Le immagini di Mikholap seducono non attraverso lo spettacolo, ma attraverso l’assenza—tramite il suggerimento di un tocco negato, attraverso la tensione di figure che quasi appaiono, che quasi rimangono. Il suo lavoro propone una poetica del rinvio: vedere è desiderare, guardare è sentire il dolore della percezione non consumata. Diversamente dalla violenza operistica di Francis Bacon, che lacera la carne nel regno della pura angoscia, Mikholap ripiega le sue figure verso l’interno, verso l’implosione. La sua estetica è di morbidezza e velatura, più in sintonia con la malinconia sospesa di Marlene Dumas, ma senza l’esplicitezza psicologica di Dumas. Se Dumas dipinge volti, Mikholap dipinge la temperatura emotiva del ricordare un volto molto tempo dopo che è svanito.
In dipinti come La Promessa della Dissoluzione e Il Corpo che Rifiuta di Svanire, la forma umana è resa instabile, intima e alla deriva. Non sono ritratti, né figure nel senso tradizionale; sono impressioni affettive, il residuo di un gesto ricordato non dall’occhio ma dal sistema nervoso. Sembrano fluttuare tra nascita e sparizione, come se emergessero da una camera interiore di dolore o tenerezza. Non chiedono di essere interpretate—chiedono di essere attraversate.
Venezia, con i suoi confini liquidi e l’architettura palinsestica, costituisce un’ambientazione ideale per questa mostra. Il Palazzo della Zattere, avvolto nell’oscurità e nel velluto, non diventa una galleria ma un luogo di rêverie, un santuario per il lento dispiegarsi della percezione. L’atto del vedere qui è durativo; richiede sintonia, un lasciar andare le abitudini interpretative. Non si attraversa rapidamente questo spazio. Si indugia.
L’opera di Mikholap si colloca in una tradizione più ampia della pittura come veicolo di indagine esistenziale, una pratica che sfiora il sacro senza mai dichiararlo. Il suo rifiuto di rendere il corpo pienamente visibile diventa un gesto di profonda intimità. Il non visto, nelle sue mani, non è assenza ma una presenza più profonda—una che insiste non su ciò che viene mostrato, ma su ciò che si sente quando l’immagine scompare.
Ciò che Persiste non è una mostra che proclama; sussurra. E ciò che sussurra è questo: che vedere è desiderare, che la bellezza non risiede in ciò che si rivela, ma in ciò che rimane irrisolto. La mostra è attualmente aperta ai visitatori e potrà essere vissuta fino al 17 giugno 2021 presso il Palazzo della Zattere a Venezia, generosamente presentata dalla Fondazione VAC. Chi entrerà in questo spazio non ne uscirà con risposte, ma con tracce—ciò che persiste a lungo dopo che lo sguardo si è distolto.
© Per gentile concessione di Palazzo della Zattere (V-A-C Foundation)