
Sotto la Superficie. Le Escavazioni Cromatiche di Olga Khrapova
Nel chiaroscuro intimo di uno spazio espositivo dolcemente curvilineo—illuminato da pozze di luce selettive e punteggiato da tele sospese e luminescenti—l’ultima mostra di Olga Khrapova, Una Psicodramma Cromatico in Movimento, non si dispiega come una narrazione lineare, ma come un’atmosfera emotiva. Non è tanto una presentazione di dipinti quanto un confronto diretto con la sensazione stessa.
Installate con precisione chirurgica, le opere fluttuano a mezz’aria, liberate dalle pareti e ruotate dolcemente dal movimento ambientale, come a suggerire che anche le figure al loro interno siano sospese in una sorta di deriva esistenziale. Ogni tela appare come un ricordo fuggitivo—sfocato, radiante, fratturato—estratto dagli anfratti della psiche più che da qualsiasi mondo osservabile. Non siamo nel regno del ritratto, ma in quello della presenza spettrale.
La decisione di Khrapova di lavorare con olio su alluminio—una scelta tecnica non convenzionale ma profondamente intelligente—si percepisce soprattutto nella superficie fisica dei dipinti. Il supporto metallico conferisce alle opere una luminosità fredda, che, sotto una luce mirata, fa apparire i pigmenti come se fluttuassero o scintillassero. In un’opera, il pigmento si assottiglia quasi fino alla trasparenza, lasciando intravedere bagliori del metallo sottostante. In un’altra, spesse sbavature di impasto si oppongono alla piattezza del supporto, generando un dialogo teso tra superficie e profondità.
Questo effetto è particolarmente evidente in Due Figure nella Gola della Tempesta. Qui, Khrapova libera tutto il suo registro segnico: fendenti diagonali di blu, rosa, verde viridiano e corallo acido si abbattono sulla superficie come un temporale. Le figure—se ancora possono essere chiamate tali—sembrano intrappolate in uno stato di intreccio e dissoluzione, le loro forme a malapena distinguibili dalla violenza cromatica che le circonda. Non c’è quiete qui. La tela sembra muoversi anche quando non la si guarda. Il gesto pittorico è furioso, stratificato, grezzo, eppure inconfondibilmente coreografato—non è caos, ma un crollo profondamente orchestrato.
Il motivo centrale della mostra è la sfocatura—non solo come gesto pittorico, ma come asse concettuale. Khrapova dipinge come se stesse costantemente rivedendo, cancellando, sfumando il volto prima che possa stabilizzarsi. In questo senso, si avvicina più a Bacon o Dumas che a qualsiasi scuola tradizionale del ritratto: il soggetto non viene rappresentato, ma resistito. La sfocatura diventa una metafora dell’instabilità della memoria, del trauma psicologico, dell’impossibilità di un sé fisso.
In Studio per un Volto in Mutamento, il volto minaccia di disintegrarsi del tutto, definito solo da tracce di magenta, giallo pallido e carbone sfumato. La pittura sembra più respirata che applicata. C’è una strana tenerezza nella violenza del suo gesto—un’intimità disperata.
E in Figura Seduta con Ombra Viola, la figura solitaria e contemplativa brilla come in un sogno febbrile, circondata da ombre che sembrano più psicologiche che spaziali. Luce e buio non servono qui a modellare, ma a evocare stati emotivi.
Nel corridoio laterale, una singola tela risplende dietro piastrelle specchiate—un intervento architettonico che frattura l’immagine in molteplici riflessi. Non si tratta di una scelta casuale. In questo spazio, la figura cromatica di Khrapova sembra apparire e svanire, rispecchiando l’intento curatoriale: le sue figure non devono essere semplicemente osservate, ma incontrate. Non chiedono interpretazione. Esigono presenza.
Il titolo della mostra, Una Psicodramma Cromatico in Movimento, è scelto con precisione. Le opere vibrano di un’energia instabile, non per un contenuto narrativo—che qui manca—ma per una materia insistente. La pittura è viva. Si contorce, si scioglie, si oppone. I volti, a malapena trattenuti dal gesto e dal colore, minacciano di crollare in qualsiasi momento. Eppure, eccoli lì: che ci guardano, resistono, si dissolvono.
Ciò che colpisce maggiormente è come Khrapova riesca a rendere l’instabilità una struttura, non un’incertezza accidentale. Le sue opere non sono improvvisazioni. Sono violenze lente. Ogni graffio, ogni rottura, ogni zona di trattenimento è una decisione—non per rappresentare la realtà, ma per interrogarne il residuo emotivo. Nelle sue mani, la pittura diventa un sito di scavo: strati costruiti solo per essere raschiati via, oscurati, destabilizzati ancora.
In un’epoca di iper-risoluzione, dove persino l’arte è attesa come immediatamente leggibile, le sue tele richiedono uno sguardo più lento—un affinamento all’ambiguità, al pensiero incompiuto, a ciò che il filosofo Édouard Glissant definisce “il diritto all’opacità.”
In questo senso, Khrapova non è semplicemente una pittrice d’immagini, ma una costruttrice di atmosfere. Il suo lavoro non termina al margine del quadro; si diffonde nello spazio che lo circonda, infetta la percezione dello spettatore, e ne altera la temperatura psichica. Una Psicodramma Cromatico in Movimento non è una mostra da spiegare. È una mostra da sentire—con i nervi, la pelle, il subconscio.
Khrapova non ci mostra cos’è la forma umana. Ci ricorda che siamo sempre in divenire—sfocati, memori, in dissoluzione, in costante rinascita.
Entra ora in Una Psicodramma Cromatico in Movimento
Attualmente in mostra presso il Palazzo della Zattere, Dorsoduro 1401, Venezia
Dal 13 novembre all’11 dicembre 2022
Lasciati attraversare. Le figure stanno già aspettando.